La nascita della moneta
Secondo quanto riportato da Erodoto le prime circolazioni della moneta sarebbero state registrate in età arcaica tra il VII e il VI secolo a.C. in Asia Minore, nella regione anatolica che si affaccia sul Mar Egeo: la Lidia. Tale innovazione procedeva gradualmente a soppiantare il baratto, che poteva avvenire come uno scambio più o meno standardizzato di risorse (ceramiche, stoffe, vino…) o di preziosi (lingotti di metalli preziosi). Curiosamente nello stesso periodo storico lo strumento nacque e fu adottato anche in India e in Cina.
A riconferma di quanto detto dallo storico greco sono state ritrovate sotto le fondamenta di un antico tempio – l’Artemision – ad Efeso quasi un centinaio di monete d’elettro di varia provenienza, tra cui la città di Focea. Sebbene vi sia una controversia sulla datazione, la maggior parte degli studiosi si ritrova concorde sul datare la scoperta intorno al VII secolo a.C.
Ma come era prodotto il nuovo strumento? La tecnica in questione era la monetazione al martello. La moneta era prodotta disponendo un dischetto liscio di metallo – il tondello – del peso corretto fra due conii (superiore ed inferiore) e colpendo quindi il conio superiore con un martello per produrre l’immagine richiesta su entrambi i lati. Il conio inferiore (il conio d’incudine) era solitamente affondato in un ceppo o in un’altra superficie robusta.
La diffusione monetaria
La rivoluzione non tardò ad affermarsi sul suolo della Grecia continentale sia per motivi culturali (molte città della costa asiatica erano greche) sia commerciali e politici. Anche qui non si ha una data precisa ma è possibile ipotizzare un primo impiego della moneta agli inizi del VI secolo a.C. Le prime ad essere coniate furono le cosiddette “tartarughe”, così soprannominate in virtù del simbolo, distintivo della città insulare di Egina, in rilievo in uno dei lati della moneta. Alla fine del VI secolo a.C. anche la Magna Grecia recepì la nuova tecnologia.
A ruota anche le vicine pòleis di Corinto ed Atene iniziarono a coniare il soldo, adottando raffigurazioni uniche come il pegaso e la civetta. Successivamente gran parte delle comunità greche adottò quanto prima la moneta, quasi sempre in argento nonostante furono davvero poche le città che poterono vantare lo sfruttamento di miniere per la coniazione; la più agevolata in questo tipo di operazione fu senza alcun dubbio Atene, grazie alle miniere d’argento del Laurio. La soluzione praticata invece dalle pòleis meno fortunate di Atene fu quella di importare il bene prezioso dall’esterno.
In breve tempo l’innovazione si diffuse nel mondo greco; si potrebbe pensare che ciò sia dovuto ad un importante incremento dei commerci e ad una conseguente nascita di un ceto di ricchi commercianti ma così non fu, le cause prime della diffusione furono ben altre. Da indagini numismatiche è emerso come l’introduzione della moneta non abbia impattato in maniera importante sui commerci – i primi effetti si riscontreranno a partire dal V secolo a.C. – in seguito allo scarso utilizzo della stessa fuori dall’area di emissione e dalla scarsa quantità di divisionali di piccolo taglio.
L’importanza del nuovo strumento è da imputare certamente alle nuove possibilità, in termini economico-politici, di cui poteva disporre la pòlis. Infatti, grazie alla moneta, che garantiva un valore stabilito, la città era capace di affrontare meglio e più rapidamente le spese di interesse collettivo (mantenimento di milizie, costruzioni e manutenzione di opere pubbliche…) e la riscossione di imposte o multe. Non meno importante da considerare è l’identità della pòlis e della sua sovranità monetaria che, indirettamente, mostrava il conio.
Un caso eccezionale
Coma già scritto pocanzi sulla diffusione della moneta è interessante notare un caso insolito di “uso” della moneta. Ogni cittadina, in misura delle sue capacità minerarie, trovava vantaggioso battere moneta, eppure la più grande economia agraria del Peloponneso optò per una scelta singolare, unica nel contesto in cui era immersa: stiamo parlando di Sparta.
In linea con gli emendamenti di Licurgo, che vietava di possedere beni preziosi quali l’oro e l’argento, a Sparta veniva battuta una moneta a forma di focaccia in ferro (addolcito con l’aceto) detta pelanor (?). Il valore intrinseco del soldo era praticamente nullo a causa dell’aceto che non rendeva utilizzabile il ferro di cui era costituito il pelanor, in più lo stesso risultava friabile tant’è che non ne sono mai stati ritrovati esemplari; le informazioni in nostro possesso derivano da Plutarco e Senofonte. Altra peculiarità si riscontra nel peso del conio lacedemone, ben 630 grammi per una sola unità.
A quanto sembra tutto era creato per scoraggiare fortemente l’accumulo di ricchezze che poteva turbare il peculiare equilibrio della società spartana.
Fonti:
- Storia Greca di M. Corsaro e L. Gallo; https://amzn.to/3KNb2TR
- Sparta di M. Lupi. https://amzn.to/3KLn7ZI