combattimento tra falangi

La falange macedone

Nel corso dei secoli in Grecia si è visto come l’apparato militare si sia evoluto, dapprima con l’utilizzo dei carri di stampo miceneo per poi lasciare spazio a disciplinate formazioni serrate; a loro volta oggetto di perfezionamento e innovazione. Dopo la massima espressione della falange registrata per secoli da Sparta, per essere soppiantata per qualche decennio da Tebe, ecco profilarsi all’orizzonte qualcosa di nuovo, qualcosa che diede al suo inventore e soprattutto al suo erede fama eterna.

 

La nascita della falange macedone

Siamo in Macedonia. Durante il IV secolo a.C., in seguito alla morte del re Perdicca III, il fratello Filippo II ascese al trono argeade sebbene spettasse ad Aminta IV, all’epoca ancora un bambino. Il periodo storico in cui Filippo II ereditò il regno macedone fu a dir poco delicato poiché diversi contendenti al trono, nonché invasori come gli Illiri o i Traci, senza contare i rivoltosi Peoni, fiutavano, come leoni, il sangue che sgorgava dalla preda da lungo tempo inseguita: la Macedonia, dilaniata dagli ultimi nefasti risvolti bellici contro Bardylis, re degli Illiri.

Tutti ambivano a possedere qualche regione, per un motivo o l’altro; eppure l’approccio di stampo machiavelliano seguito da Filippo II ottenne eccellenti risultati, facendo rientrare la crisi (in un altro articolo parleremo dell’ascesa della Macedonia). Così il sovrano argeade, forte della sua nuova posizione e spinto da ambizioni crescenti, sfruttando un periodo di pace e l’esperienza maturata durante la sua “prigionia” in gioventù a Tebe, riorganizzò in misura profonda l’esercito. Nasce la falange macedone.

 

La riorganizzazione dell’esercito

Il regno macedone non ebbe particolari tradizioni militari prima di Filippo II. La base, fino ad allora, dell’esercito era costituita da unità a cavallo scelte tra i nobili della Macedonia, per un totale di qualche centinaio di cavalieri; a questi si era soliti affiancare truppe appiedate mal addestrate e mal armate. Secondo Diodoro, durante il regno di Perdicca III, l’esercito che fu pesantemente sconfitto da Bardylis contava circa 8.000 truppe appiedate e 300 cavalieri; il successore e fratello di Perdicca sapeva bene che una profonda ristrutturazione dell’armata era cruciale per la sopravvivenza del suo regno e delle sue ambizioni.

-La cavalleria e le unità ausiliarie

In linea con la tradizione che vedeva i soli membri della nobiltà appartenere alla cavalleria, per motivi sia culturali che economici, Filippo integrò le classi dominanti delle altre regioni sotto il controllo della Macedonia – che fino ad allora non apportavano uomini all’esercito – per incrementare gli effettivi dell’unica unità d’élite che disponeva: la cavalleria degli éteri o compagni. In poco tempo il numero passò da 300 a 600 cavalieri, per poi aumentare. In un altro articolo esamineremo nel dettaglio i “compagni”.

 

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Carica di “compagni”

 

Furono introdotti anche unità ausiliare allo scopo di rendere più flessibile e versatile l’esercito. Queste sono quasi sempre unità armate alla leggera come i frombolieri di Rodi, gli arcieri di Creta e mercenari di vario tipo. Da annotare è anche l’interesse di Filippo II per l’arte della poliorcetica, tant’è che dotò l’apparato militare macedone di vari macchinari (come l’elepoli) in grado di espugnare le mura erette a protezione delle città.

-La fanteria

Un impegno maggiore fu profuso per riformare le unità appiedate. Il regnante argeade volle creare un’armata di stampo professionale, dedita unicamente al mestiere d’armi, a differenza di quando accadeva in Grecia con gli opliti-contadini (ad eccezione di Sparta). Il modello preso in considerazione fu la falange, ma non la classica falange di opliti.

Con le riforme militari si passò a soldati di professione che percepivano una paga fissa oltre ad eventuali extra derivanti dai bottini di guerra. Garantendo una sussistenza sicura furono in molti a proporsi come volontari al servizio del re, che in prima persona partecipava alle battaglie condividendone i rischi con i suoi sottoposti. Fu migliorata la logistica ed implementata la leva militare obbligatoria per un periodo determinato di tempo (dopo il quale il cittadino macedone tornava libero di seguire le sue attività). L’addestramento dei militi fu parecchio duro, si poneva l’accento soprattutto sulla forma fisica che inficiò positivamente sulla capacità e velocità di marcia durante le campagne belliche.

A distanza di anni, il tempo trascorso nella Tebe che pose fine al dominio spartano fruttò clamorose intuizioni al futuro padre di Alessandro Magno. La struttura di base della falange fu immutata, dunque si parla sempre di fanti pesanti disposti in una formazione chiusa e a ranghi serrati. L’innovazione consta nell’equipaggiamento dei soldati che presero il nome di pezeteri (o compagni a piedi):

  • la classica dòry, la lancia in frassino dell’oplita lunga dai 2,5 ai 3 metri, venne sostituita dalla sarissa. Quest’ultima è una lancia in corniolo di 5-6 metri suddivisa in due tronconi equivalenti ma uniti centralmente da un tubo metallico; data la notevole lunghezza della lancia macedone si poteva impugnare solamente con entrambe le mani a differenza della lancia dell’oplita (più corta e leggera). Come la dòry anche la sarissa è dotata nelle estremità di una punta a foglia e di uno styrax (anch’essa una punta metallica utilizzata però per bilanciare il peso dell’arma).
  • anche lo scudo è investito di una profonda rivisitazione. In virtù di quanto già scritto è impensabile brandire una sarissa ed un hòplon di 8 chili dal diametro di 1 metro, pertanto lo scudo venne rimpicciolito. Lo scudo, dal diametro di 50-60 centimetri, veniva fissato con una cinghia alla spalla opposta per permettere al fante di imbracciare liberamente la temibile lancia di cui erano provvisti.
  • nondimeno l’elmo utilizzato non fu più il tipo corinzio (all’epoca già poco utilizzato) né quello beotico. I soldati erano soliti calzare l’emo frigio, molto in uso nel nord della Grecia e in Tracia, sormontato da un peduncolo lavorato dalla stessa lamina di metallo dell’elmo, caratterizzato da un ampia visiera e da lunghi paragnatidi (alcuni esemplari ne erano sprovvisti). Nel complesso era un copricapo leggero se paragonato ad esempio all’elmo corinzio.
  • per il resto i pezeteri, come gli opliti, avevano in dotazione una spada corta come la kopìs, e l’armatura in lino pressato (linothòrax).
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Equipaggiamento di un “compagno a piedi”

 

Falange greca e macedone a confronto

Il falangite quindi risultava decisamente più leggero rispetto al soldato greco dell’epoca, cosa che lo rendeva sicuramente più flessibile nei movimenti, sia singoli sia di gruppo, in campo di battaglia. Contro una formazione statica questo vantaggio non è affatto trascurabile, ma c’è di più: è stato calcolato che lo spazio occupato dal soldato all’interno della formazione risultava di 0,8 mq, uno spazio inferiori rispetto agli opliti, che garantiva ai pezeteri una coesione maggiore ed un altro importante vantaggio.

Le unità della falange macedone erano costituite da un quadrato di 16 fanti per 16 file. Le prime 4 file brandivano orizzontalmente la sarissa mentre le altre progressivamente, con diverse angolazioni, giungevano a tenerla via via sempre più verticalmente, cosa che avveniva nelle ultime file. Questo curioso posizionamento delle armi offensive rendeva meno pericolose le armi da lancio.

 

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Disposizione della falange macedone

 

Per concludere, l’utilizzo di lance più lunghe diede un altro importante beneficio sugli avversarsi, difatti avere la possibilità di colpire per primo il nemico porta intrinsecamente un guadagno che talvolta risulta decisivo; così come i greci fecero mattanza dei persiani alle Termopili anche grazie a questa risorsa, in modo analogo fecero un secolo e mezzo dopo i macedoni a Cheronea con i greci, inaugurando un nuovo capitolo della storia antica.

 

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