L’impiego dell’oplita
L’oplita, non è altro che un fante armato pesantemente per lo scontro frontale che si afferma in epoca arcaica, raggiungendo il suo apice in epoca classica. A partire dall’VII secolo a.C. , fu implementato negli eserciti dapprima dalla pòleis di Sparta e Argo per poi diffondersi capillarmente in circa un secolo in tutta la Grecia continentale, divenendo insieme alla falange una vera e propria istituzione.
Il soldato greco per eccellenza è tale sono se è inquadrato in una apposita formazione di battaglia: la falange. In questo peculiare tipo di formazione, gli opliti dovevano disporsi in file (di variabile lunghezza con il passare dei secoli) costituendo dei ranghi serrati al fine di agire e combattere all’unisono come se fossero un singolo individuo.
Solitamente gli scontri tra città-stato greche prevedevano battaglie campali tra falangi, riusciva ad ottenere la vittoria lo schieramento che dimostrava più coesione, poiché una falange che si mostrava non omogenea, quindi con delle crepe di formazione causate dalla marcia o dalla lotta, risultava estremamente vulnerabile e facilmente battibile.
L’equipaggiamento
Prima della Guerra del Peloponneso, gli equipaggiamenti variavano da pòlis a pòlis, ma anche da soldato a soldato della stessa città, a causa dell’importante costo che si doveva sostenere per farsene fabbricare una (tant’è che fin quando possibile si tramandavano). Di seguito si vedranno le principali componenti delle panoplie.
-Lo scudo
L’oplita prende il suo nome da un’arma difensiva prevista dalla panoplia di base, che accomunava ogni singolo soldato: l’hòplon . L’hòplon è lo scudo frutto dell’evoluzione dell’arcaico aspìs di origine micenea, che presenta a differenza di quest’ultimo una forma completamente tonda dal diametro di 1 metro circa ed una maggiore convessità, tale da inserire il braccio mediante un pòrpax (bracciale di bronzo) e mantenere la presa grazie ad una cordicella che correva lungo la circonferenza interna.
Lo scudo la cui base era costituita in noce ma rivestita di una sottile lamina di bronzo pressato, pesava tra i 7 e gli 8 chilogrammi. Caratteristica funzionale di quest’arma era la sua maneggevolezza unita alla capacità di coprire l’oplita dal mento alle ginocchia, insieme al fianco sinistro scoperto del suo commilitone (proprio per questo motivo le falangi procedevano tendenzialmente verso destra). Per finire, con la presenza dei bordi rinforzati permetteva di resistere bene agli affondi delle lance e ai fendenti delle spade rendendo così l’hòplon lo scudo perfetto per una falange.
-L’elmo
Altra caratteristica peculiare dell’oplita era l’elmo (kòris), che nel corso dei secoli fu soggetto a diverse rivisitazioni dando vita a numerose varianti. Il modello più diffuso, nonché il più antico (VIII secolo a.C.), era quello corinzio che copriva l’intero capo, sormontato da una cresta di cavallo (non sempre), lasciando scoperta una “T” che tracciava le parti anatomiche scoperte ovvero: gli occhi, il naso (parzialmente coperto con il guardianaso) e la bocca.
L’elmo era flessibile (non sempre resistente ai fendenti), non troppo pesante e permetteva di essere sollevato all’altezza della fronte, ma era sprovvisto di cinghie per poterlo fissare al mento, quindi poteva capire che durante l’infuriare delle battaglie si scalzasse. La vera criticità del modello corinzio si nascondeva quando la kòris veniva interamente calzata, infatti copriva completamente le orecchie compromettendo l’udito.
Dunque, risultava difficile, per l’oplita che calzava l’elmo corinzio, recepire gli ordini dei superiori durante le battaglie. Nel corso del V secolo a.C. si diffusero altri modelli: quello calcidico, attico, tracico e beotico. L’insieme di questi modelli, che presentano differenze gli uni con gli altri, sono accomunati da novità che superano le più importanti criticità del modello corinzio, sviluppando paragnatidi (fisse o rimovibili) e l’apertura per le orecchie.
-La corazza
Anche la corazza dell’oplita greco ha subito, come l’hòplon, una lenta ma costante evoluzione. Dapprima, con il modello miceneo detto a “campana” costituito da lastre a forma d’anello in bronzo che all’approssimarsi della vita si allargavano.
Nel corso dell’età classica si distinguevano tre principali modelli di thòrax: anatomica, composita e in lino.
La prima, era in bronzo, modellata secondo il busto dell’oplita si chiudeva in vita, dalla quale pendevano due file alternate di cuoio indurito dette pterugi, che avevano il preciso scopo di proteggere l’inguine. Costituita da due lastre di bronzo tenute insieme da due cerniere per i fianchi ed una per la spalle (totale tre per lato), poteva prevedere l’inserimento di apposite cinghie sotto l’ascella per assicurare la coesione delle due piastre.
Come per la thòrax anatomica, anche la composita era fabbricata nel medesimo modo. L’unica differenza si riscontrava nel rivestimento, infatti una volta ultimata tale arma difensiva, la corazza composita era rivestita in lino o cuoio indurito per prevenire la ruggine.
Il terzo ed ultimo modello che sarà preso in considerazione è la corazza in lino, meglio conosciuta come linothòrax. Questo modello andò a soppiantare progressivamente gli altri appena citati per una serie di ragioni. Innanzitutto il materiale adoperato per la sua fabbricazione era solamente lino pressato o cuoio indurito (abbassando il costo di produzione), garantendo così alla thòrax maggiore flessibilità, leggerezza (presentava uno spessore di mezzo centimetro) e resistenza alla penetrazione delle frecce.
-Gli schinieri
Gli schinieri (o gambali) rivestivano per l’oplita, rispetto alle altre armi difensive, un ruolo più marginale. Introdotti nel VII secolo a.C. erano in bronzo e venivano calzati al polpaccio ed essendo il bronzo un metallo elastico, aderivano perfettamente adattandosi alla muscolature senza ricorrere a lacci o cerniere. I gambali in età classica coprivano dalla caviglia fin sotto il ginocchio, anche se erano presenti varianti che inglobavano quest’ultimo.
-La lancia
La lancia (dòry) era l’arma offensiva principale del soldato greco. Come il resto degli elementi della panoplia, anche in questo caso l’obiettivo era produrre armi che combinavano il giusto mix di flessibilità, leggerezza e resistenza, optando per la tipologia di legno che incarnava meglio il bilanciamento prescelto per la dòry: il frassino.
La prima arma dell’oplita, perfettamente tonda e levigata grazie ad una laboriosa e lunga lavorazione, misurava circa due metri e mezzo con un peso inferiore ai due chilogrammi. Era provvista di due “punte” alle due estremità, necessarie per consentire un bilanciato palleggio dell’arma. La prima era la vera e propria punta, a foglia larga ed affilata, adoperata in combattimento a cui faceva da contraltare la styrax , ovvero il puntale posteriore utilizzato anche per piantare la dòry nel terreno.
-La spada
La seconda arma adoperata in combattimento dall’oplita, in caso di rottura della dòry, era la spada (xyphos), tenuta in un fodero appeso a tracolla. Ve ne erano di diversi tipi ma le più diffuse erano: la xyphos, spada a doppio taglio dalla lama dritta che non superava i 75 centimetri, la kopìs e la màchaira molto simili a scimitarre che presentavano una lama più o meno curva ad un taglio ma più corta (60 centimetri circa).
Curiosità molto interessante, attendo altri post!
Interessante questo articolo. E’ sempre bello approfondire la nostra conoscenza!
Bella lezione di storia , continua così!
Articolo molto interessante!
Articolo molto interessante!
articolo parecchio interessante. non vedo l’ora di leggere i prossimi